Burning: l’amore brucia
Burning: l’amore brucia
Una descrizione cruda che non si prende il lusso di indorare la pillola. Un dramma che ci manda allo sbaraglio, domande senza risposte ci costringono a fronteggiare la vita per quello che è
di Sooji Lee
Nel 2018 dopo 8 anni di pausa il regista Lee Chang Dong ha fatto ritorno nelle sale cinematografiche con Burning: l’amore brucia.
Misterioso ed intricato questo film è di difficile descrizione. La vicenda inizia con l’incontro tra Jongsu ed Haemi, ex compagni di scuola, che si incontrano casualmente dopo anni di lontananza, i due instaurano immediatamente un rapporto ambiguo che viene però frenato bruscamente dalla partenza improvvisa della ragazza e dalla comparsa del misterioso Ben.
L’intero film gira intorno al triangolo che si viene a creare tra i tre protagonisti e ci mostra come quest’ultimi interagiscono tra di loro, il fulcro del film tuttavia non sta nel loro rapporto, Burning non è di certo una commedia romantica e il romanticismo è un tema appena accennato, fin dal primo momento capiamo che Ben non prova niente per Haemi, quest’ultima per lui è solo un passatempo, un soggetto interessante da osservare nell’apatia della sua vita perfetta ed imperturbabile e perfino l’amore che Jongsu sostiene di provare nei confronti della ragazza ci sembra ridicolo e contorto, più che amore ciò che prova si avvicina ad un’ossessione.
Il tema centrale del film, dunque, non è l’amore ma la ricerca di un qualcosa, probabilmente del senso della vita, il passaggio da “Little Hunger” a “Great Hunger” un tentativo di riscuotersi da un’apatia perenne.
Intento di Burning, infatti, è quello di descrivere la rabbia dei giovani, di comprenderne la frustrazione e di comunicare con loro.
Nel guardare questa pellicola fondamentale è soffermarsi non tanto sugli eventi quanto sui dialoghi.
In Burning nulla è lasciato al caso, ogni singola parola nasconde un messaggio, è metafora di qualcosa di più grande e decifrarne il significato è compito nostro.
Nel film sono più gli elementi lasciati all’immaginazione che quelli esplicitati, il regista ci pone davanti ad un turbolento susseguirsi di eventi senza darci nessuna spiegazione, i misteri e gli enigmi si accumulano e proprio come il protagonista anche noi vaghiamo in cerca di una risposta, ci sembra di vivere il film in prima persona siamo spaesati, giungiamo a conclusioni affrettate e veniamo sopraffatti dagli avvenimenti.
Per tutta la durata del film attendiamo un chiarimento da parte della regia, ci aspettiamo che qualcuno risponda alle nostre domande, ci sembra normale e lo consideriamo nostro diritto, tuttavia questo desiderio rimane insoddisfatto, ciò che non ci è dato sapere all’inizio ci viene negato fino alla fine. Ciò ci sconforta ma forse è proprio questo l’elemento che rende l’opera di Lee Chang Dong tanto realistica, dopotutto nella vita reale non esistono narratori onniscenti, non troviamo risposta a tutti i nostri quesiti, ci arrendiamo alla vita e accettiamo la realtà per quella che è senza ribellarci o porci troppe domande.
L’opera non è facile da digerire, può incontrare numerose critiche e sicuramente non è un film che può piacere a tutti, non cerca di ottenere il favore del pubblico, si limita a descrivere il vero e nel farlo ci lancia continue domande senza però darci una morale o una specifica chiave di lettura, il regista non cerca di inculcarci un insegnamento vuole piuttosto dialogare con noi.
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