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Vincitori concorso saggi "Io e la Corea"

10 novembre 2021 | 1461 Hit

Vincitori concorso saggi "Io e la Corea"


Prima classificata categoria italiano : Giorgia Candeloro


IO E LA COREA: Alla ricerca di un volto sentimentale

In quel tempo, quando avevo i capelli lucidi e stretti in boccoli favoriti dal vento, mi allungavo sotto un ulivo. Chiudevo gli occhi e respiravo a pieni polmoni le molecole che mi si presentavano accanto: un sorriso dato dall'aroma del fiore, uno starnuto dato dal divertimento del tarassaco. Un pensiero che ballava sul mio ventre, proprio vicino alle mani che vi erano poggiate in nome di un’abitudine che ho sempre avuto. Aprivo gli occhi e vedevo colline e cielo che si abbracciavano nel segreto di dita intrecciate sotto ad un tavolo: un incantesimo alimentato dal desiderio.


Quando avevo i capelli lunghi e morbidi stesi sotto ad un albero di ulivo, chiudevo gli occhi e immaginavo. Speravo di luoghi che non fossero i miei scorrere a salti, accompagnati da uno sguardo che parlava di brama di vita, la mia vita. Un volto che voleva esserne parte, sapendo che lo avrei accolto. Ogni anno pensavo che sarebbero arrivati e ogni anno vedevo le foglie stendersi sospirando su un fondo di terra umida e fertile invernale. Allora i miei capelli sapevano, e con loro io, che lo scorrere delle stagioni si offre prolessi dell’esistenza che preme per compiersi, gettando la mia verso un limite di cui non potevo conoscere le potenzialità.

In quel tempo, quando avevo i capelli tra le dita, le mie mani di pane, mi allungavo sotto il cielo, chiudevo gli occhi e pensavo. Pensavo ad un volto senza occhi e senza contorni che non sapevo riconoscere. Ma gli immaginavo un sentimento, come un cieco dalla nascita che conosce la bellezza pur non potendola vedere (“[…] e c’è un uomo, come un ricordo”, cfr. Autoritratto, Yun Dong-Ju).


Prima di iniziare a scrivere questa confessione, perché di ciò si tratta, mi sono interrogata a lungo su quale fosse il momento preciso della mia vita in cui un Paese così lontano e diverso culturalmente da quello in cui vivo fosse entrato a far parte del mio universo quotidiano.

Un’unica ed esaustiva risposta, nonostante tutto, non l’ho ancora trovata.

La nostra contemporaneità è una madre che ciba attraverso infinite strade, e non è difficile conoscere più di quanto si possa capire anche solo prendendo in mano un dispositivo mobile a scelta. Evidentemente, la stessa Corea è stata una di quelle foglie lanciate dal vento, una foglia che però ho saputo vedere, conservare e studiare: chissà se avrebbe potuto aiutarmi a trovare quel volto che tanto cercavo da piccola.


“Abbiate il coraggio di essere curiosi”, così mi salutò pieno di fiducia l’ultimo giorno di terza media, ormai molti anni fa. Allora decisi di proseguire e fondare su di essa la mia vita. Forse, dunque, è proprio questa straripante voglia di conoscere che mi ha accompagnato verso di Lei.

Proprio per curiosità iniziai a sganciare uno ad uno quei moschettoni di pregiudizi che mi sostenevano falsamente quale cittadina di un mondo che riveste e che ingloba, se non si sta attenti. Come quando a dodici anni decisi di non mangiare più carne e pesce, così poco dopo parlai della bellezza che sta nell’essenzialità di due occhi stranieri davanti a bocche che sapevano solo criticare ciò che non erano abituate a conoscere. Un contatto più deciso avvenne poco dopo, attraverso ciò con cui ad oggi è più facile imbattersi: l’onda mediatica dei K-drama in lingua originale, a distanza di anni sentita tanto profondamente da indurmi ad un orgoglio immeritato (da me) quando mi capitava di vedere riferimenti ad autori o personaggi coreani in programmi occidentali. In seguito, da grande amante della musica, la bella sorpresa del pop coreano, all’inizio i BTS, poi molti altri. Dovevo citarli, gli Bangtan: non sarei stata sincera se non lo avessi fatto. Colgo inoltre l’occasione per ringraziarli: serve sempre un LA per iniziare ad avvicinarsi, anche se a volte invisibile e tenuto intimamente nascosto.

Ma non ho trovato solo belle trame e bella musica.



Da lì potevo solo crescere e il mio volto allo specchio mi sembrava ogni giorno un po' più definito.

Ora ho vent’anni. Fin da prima di poter prendere in mano un libro sono entrata in contatto con l’arte e con le lettere grazie a mia madre. Ho vent’anni e tutt’oggi vivo delle parole di altri, delle immagini prodotte dalla fantasia di altri, recentemente cercando con non poca superbia di produrne delle mie.

Le parole nascono dalla bocca di una persona e muoiono nelle orecchie di un'altra. Ma alcune parole non muoiono, invece che passare dalle orecchie, arrivano dritte al cuore e continuano a vivere: così è stato tra me e la letteratura coreana.


La prima opera fu la prosa concepita da Lee Jung-myung attraverso l’abile escamotage di posizionare la sua trama sotto il raggio di luce delle opere del poeta realmente esistito Yun Dong-ju. Mi riferisco a quella che mi piace catalogare come “storia di vita”, non solo la loro, dello scrittore e della sua musa, non solo quella dei loro personaggi, ma anche la storia di chiunque si ritrovi in ciò che gratuitamente viene offerto; quei sentimenti, quelle emozioni, quelle paure, così umane, perciò tanto affascinanti. La guardia, il poeta e l’investigatore: quando lo vissi, io ero ognuno di loro e loro erano me. Cosa sentivo per la Corea e perché lo sentivo: allora lo capii. Dignità, resilienza, disciplina e bellezza. Amore per la poesia, che per me è sempre stata sinonimo di vita. L’arte inutile indispensabile alla vita (folle l’uomo che “sradicherebbe un’aiuola di tulipani per piantarvi dei cavoli”, cfr. Mademoiselle de Maupin, T. Gautier), il “sesto senso” capace di consolare e trasmutare anche i periodi peggiori; o uno […] scheletro/ O un’anima meravigliosa (cfr. Un’altra casa, Yun Dong-Ju).


Da lì conobbi la materia storia e presi consapevolezza della sua relatività. Ancora non so molto del passato coreano, vorrei saperne di più e questo può essere considerato un mio obiettivo certo.


So però che l’Italia non è la sola ad aver affrontato difficoltà degne di essere stampate nella memoria dei popoli: autori come Bandi mi hanno mostrato nuovamente il coraggio e la caparbietà di anime guerriere pronte a rischiare la propria vita per la verità, per la libertà. Dei novelli “baroni rampanti” calviniani cresciuti su alberi est-ivi rispetto al mio unico universo conosciuto (per modo di dire), l’Italia. Questi e altri pensatori sono stati per me delle guide, una sorta di novelli Harry Potter, se vogliamo, che mi hanno indicato un muro invisibile attraverso il quale si entra in un mondo straordinario, fatto prima di novità e poi di verità, bellezza e a volte, come in ogni grande emozione, di tristezza e soprattutto di quella profonda nostalgia che si può provare solo nei confronti di qualcosa che non si è mai avuto.


La resilienza prima citata fa parte di una Corea che non si è mai spezzata negli attimi di paura e vessazione, quegli attimi che da giorni sono diventati anni e così una cicatrice che ricorda, ricorda…

ma un fiore non nasce mai senza fatica.


Chiedendomi pian piano cosa ci fosse nella Corea che mi attirava a Lei come molti sognano l’America, due anni fa, dopo il diploma delle scuole superiori, cominciai a credere che la cosa migliore sarebbe stata sceglierLa definitivamente: studiare lingue e culture orientali all’Orientale di Napoli o frequentare un’università direttamente nel “Paese dalla perenne calma mattutina”, un mondo che sentivo ma, ora mi rendo conto, non avevo mai ascoltato davvero del tutto. Sarebbe stata una scelta quasi “facile”, volendo definirla con un termine “ad una sola piega” (cit. M. Campagnaro) ed eliminando tutte le faccende concrete che avrebbe comportato soprattutto la seconda scelta. Perciò, dopo aver stampato fogli su fogli di informazioni a riguardo, rinsavì dalla mia nuvola rosa di eccitazione e capii che quello non era amore ma solo un fragile innamoramento. Mi chiesi se valesse la pena dimenticare anni di contatto stretto e osmotico con la mia letteratura e la mia arte a favore di una passione che, una volta arrivata, si, rimaneva, ma rischiava di farmi odiare un po' di più ogni giorno a causa della mia scelta sotto certi aspetti egoista.


L’amore consiste nel donarsi agli altri senza però perdere di vista se stessi e la propria individualità. Su ciò si fonda un rapporto che punta all’eterno, o che per lo meno lo aspira.

Così, vincendo, in aggiunta al precedente discorso, anche le ultime paure legate al concetto più basso di ciò che è “giusto” fare secondo il pensare utilitaristico, mi iscrissi alla facoltà di lettere moderne nell’Università della mia città, Pescara, la patria di D’annunzio, e la mia.




Dunque ora so, o credo di sapere, per cosa studio: preservare il particolarismo di ogni nazione e la difesa di quelle singole verità che devono essere conosciute e apprezzate senza tentare uno di quei “compromessi” che ne rovinano l’autentico aroma. Studio una piccola parte di una grande storia con il sogno e l’ambizione di sperare di poter conoscere più di quanto mi è dovuto sapere; sempre rimanendo una ragazza, una donna, una cittadina italiana che tuttavia ama il mondo e lo osserva da fuori con gli occhi di un bambino e il cuore pieno d'affetto di una madre.


Sapere che la vita, se ben scelta e condita certamente con un po' di fortuna, non preclude nessuna possibilità, è stata la chiave del mio rinnovato sguardo all’umanità: un unico Paese stupendo e ricco. Bisogna saperlo capire con una mente aperta propria di una religiosità più rurale che borghese.

Qui sta dunque la difficoltà.


La Corea per me è il degno polo opposto di una personale calamita che ha inevitabilmente il suo corrispettivo nella mia roma (il minuscolo è voluto poiché sta ad indicare allo stesso tempo un ideale astratto, ma non per questo meno importante; una proiezione della mia natura più intima). Una calamita completa che mi attrae e che mi piacerebbe condividere: informarmi sulle strutture in Corea dove poter ipoteticamente giungere dopo la laurea per insegnare la mia cultura e la mia lingua all’estero; pensare di potercela fare un giorno, è qualcosa di tanto troppo grande per me? Questo non lo posso sapere e tuttavia mi piace pensare che il coraggio non si trovi, ma si crei. Non posso neanche sapere se la mia scelta sia stata la più adatta a me e al mio futuro.


Ecco che però leggere molto “serve a qualcosa” se posso ricordarmi di un proverbio indiano che canta: “A volte il treno sbagliato porta alla stazione giusta”.

La scoperta della Corea per me è coincisa con una presa di coscienza che parla di un caos che, lungi dal divenire ordine, ha imparato ad apprezzare ogni vento e alta marea come una conferma del suo essere in attività, un simbolo di vita che combatte la morte, che ne fronteggia la vacuità e prova a sconfiggerla.


Prima ho citato la bellezza: l’estetica fa parte dell’arte che a sua volta completa la cultura, essendone parte integrante. Ponendo la scienza come cultrice del bello oggettivo, ciò che invece fa parte di un processo artistico comune a tutti è la soggettiva interiorizzazione ed esaltazione del particolare sfuggito ad un altro.


Mi è capitato allora di osservare immagini di luoghi coreani, di sentirne citati altri, e notare come nuovo e vecchio, che si tratti di architettura, arte, moda o stile di vita, si trovino a poca distanza l’uno dall’altro. Tutto ciò è bello, altroché se è bello. Ancor più affascinante è osservare una casa in stile tradizionale con accanto un libro che ne racconti la storia, quella dei suoi costumi, delle sue tradizioni; della sua gente che la abita. Ancora meglio se con delle cuffie che provano a tenere il passo di un suono naturale, dai tratti spezzati ma privi di una vera fine, che si legano alla nota successiva con braccio teso, dita rilassate, palpebre abbassate e ciglia rivolte verso l’alto. Un gesto veloce e tremolante, quasi a simulare il vento che scorre tra canne di bambù poste in fila vicino al bordo di un fiume. Un fiume fatto non d’acqua ma di storie vissute, cantate e raccolte come una fonte di vita immortale, tra una corda e l’altra del Gayageum.


Grazie dell’attenzione ma soprattutto dell’opportunità offerta, quella di poter riflettere il mio rapporto con la Corea: per quanto poco possa sembrare, alla fine del processo di scrittura mi sembra di conoscerne un po' di più il volto e, con il suo, anche il mio.



Seconda classificata categoria italiano : Asia Michelis


Io e la Corea

"Amor fati": una locuzione latina che si traduce con "l'amore del fato." Significa lasciare tutto al fato, accettare ciò che non si può cambiare, ma anche amare ed accogliere tutto quello che riceviamo, che sia inaspettato o ardentemente desiderato, abbracciare ciò che il destino escogita per noi. Personalmente non credo nell'esistenza di una predeterminazione delle cose che accadono, o ad una volontà al di sopra delle capacità umana, ma sono sicura che certi incontri, certe esperienze accadano nel momento in cui ne abbiamo più bisogno. Vivo ogni singolo giorno con queste due parole impresse nella mente, per apprezzare anche le più piccole cose, considerandole come un dono o un insegnamento che mi sarà utile per crescere. Indubbiamente uno dei regali più grandi che la vita mi abbia mai riservato è stato proprio il mio incontro con la Corea del Sud.


La mia storia in realtà è simile a quella di tanti altri come me: mi sono follemente innamorata della musica coreana. Avevo circa sedici anni appena compiuti, fuori pioveva ed ero rannicchiata sulla poltrona, immersa nella mia coperta di lana, mentre fuori pioveva a dirotto ed il vapore del mio tè disegnava cerchi concentrici in aria, dissolvendosi poi completamente. Aperta la pagina di YouTube, compare sullo schermo del mio computer un ragazzo dai capelli color rosa pastello, che guarda l'obbiettivo con un’espressione quasi afflitta. Senza pensarci due volte clicco sul video, incuriosita dagli strani caratteri che affiancano il titolo "Let's not fall in love - Big bang". Le parole erano per me incomprensibili e la loro cadenza completamente estranea. Il video era uno dei più belli e curati che avessi mai visto, e tutte le scene erano di bellissimi colori pastello. Ironicamente, mi innamorai della musica coreana con una canzone intitolata "non innamoriamoci".




Divorai uno dopo l'altro sempre più video musicali, e lentamente cominciai ad imparare i nomi dei gruppi, i loro membri, tenermi aggiornata sulle loro attività, fino ad avere oggi più di cinquanta album e settanta ore di playlist. Ma non mi fermai al pop, anzi, da fan dell'hip hop italiano, esplorai persino il rap coreano, diventandone altrettanto appassionata.


In tanti oggi sottovalutano la portata emotiva del kpop, limitandosi a considerarlo un genere per adolescenti, sminuendo le doti di tutti quei ragazzi che sin da piccoli sacrificano la loro intera infanzia per coronare il loro sogno di lavorare nell'industria dell'intrattenimento. Parliamo di bambini che ogni giorno per anni e anni si allenano fino alle quattro del mattino, rinunciando alla loro vita, ai divertimenti e le esperienze tipiche della loro età solo ed esclusivamente per coronare il loro sogno. Si tratta di una scelta difficile, e tante sono infatti le giovani vite stroncate dal forte stress psicologico e dallo stringente controllo delle major, su aspetti anche molto personali della vita degli artisti. Kpop non significa solo guardare ballare ragazzini dai capelli colorati, con vestiti discutibili, su ritornelli orecchiabili, ma molto molto di più. Ci sono messaggi forti, veri, dietro a quelle che possono sembrare macchine da soldi, ragazzi con grandi passioni che vogliono condividere le loro emozioni.




Parlando più in particolare della mia esperienza, sono due gli idol che mi hanno svoltato la vita e che considero dei veri e propri modelli da imitare. Sono persone che in realtà mi assomigliano molto, ma credo che rappresentino la versione che vorrei essere di me stessa, forse più spontanea e sorridente, e meno pensierosa. Per crescere, tutti noi abbiamo bisogno del modello di altre persone, che siano amici, amanti, genitori, o sconosciuti, a cui siano già capitate le medesime situazioni o con chi siamo semplicemente in grado di empatizzare. Magari hanno vissuto un’esperienza negativa, come succede ad ognuno di noi, ma non hanno rinunciato, anzi, hanno trovato in loro stessi la forza non solo di andare avanti, ma persino di capovolgere un destino che per molti sembrava già segnato, trasformando ostacoli e barriere in opportunità uniche.


La musica coreana non mi ha quindi solo permesso di divertirmi guardando ore ed ore di concerti, cantando a squarciagola in macchina o saltellando per la casa, ma mi ha anche trasmesso ideali importanti come lo stesso 'amor fati', arrivato proprio nel momento della mia vita in cui ne avevo il più disperato bisogno. Grazie al kpop ho imparato valori come il rispetto, l'amore per sé stessi, la positività, la tenacia, il coraggio, la forza di volontà, ma mi ha anche permesso di conoscere tante altre persone che condividono con me questa passione, con le quali posso parlare liberamente di ogni cosa e sentirmi accettata e compresa. Da ragazzina insicura, timida, ho trovato finalmente la spinta per cercare di essere veramente me stessa. I lunghi ritornelli, le ragazzine dai lineamenti delicati, i capelli colorati, e le coreografie più strambe mi hanno conquistata anni fa, e mi hanno teletrasportato in un mondo in cui mi sentivo accettata e dove lo sono ancora oggi.


Poi lentamente, ho scoperto altri meravigliosi lati della Corea, a partire dai prodotti per la cura della pelle, quasi miracolosi, senza cui ormai non riuscirei più a vivere! Ho iniziato a guardare i drama, un genere così lontano dalle tipiche serie italiane, che da inguaribile romanticona, non ho potuto che amare alla follia. Ne ho ancora moltissime in lista da vedere, e sono pronta a commuovermi per ogni finale strappalacrime che mi aspetterà, o ridere per quella comicità così diversa da quella a cui sono abituata, ma che inspiegabilmente mi fa tanto divertire. Inoltre, ho trovato un ristorante coreano vicino a casa, ed ogni volta che vado, adoro provare piatti e delizie sempre diverse, magari prendendo ispirazione da qualche kdrama o film appena guardato.

Oltretutto, con questa mia passione per la Corea, sono riuscita a contagiare molti dei miei amici, spingendoli addirittura ad essere fan del kpop o ad appassionarsi alla filmografia coreana, e "convertire" persino coloro che si ritenevano i più disinteressati o che proprio non riuscivano a capire da cosa fosse scaturito il mio interesse per un paese come la Corea. Sono contenta di essere riuscita a fare cambiare idea a queste persone, e sarò sempre pronta a difendere le tradizioni di questo meraviglioso paese, ed aiutare chiunque lo desideri a capire più a fondo le abitudini e le usanze di un popolo così diverso da noi. Sarò sempre preparata a difendere i miei interessi e le mie passioni, anche davanti a chi, magari, le disprezzerà o ne sottolineerà gli aspetti più negativi, ignorando il posto importante che occupano nel mio cuore.




Ed è così che mi sono avvicinata sempre di più alla Corea del sud, alle sue usanze ed abitudini, un mix tra tradizioni e modernità che non di rado si mescolano. I coreani sono un popolo pacifico che protegge con unghie e denti la sua tradizione, che cerca di promuovere tutti gli aspetti della propria cultura, che accoglie gli ospiti con un misto di cortesia e calore. La Corea è una terra che in questi anni si è evoluta in maniera rapidissima: si passa da grattacieli pieni di luci a templi immersi in gloriosi giardini. La cultura coreana è immensa in ogni sua sfaccettatura, con una storia incredibile alle sue spalle, luoghi magnifici da visitare ed incredibili prodotti da offrire.


L'amore per la Corea è talmente grande da avermi addirittura spinto a studiarne la lingua e la storia, la cultura all'università, tutto questo per poter comprendere, amare e rispettare completamente questo magnifico paese. Dal mio punto di vista, la scrittura coreana è uno degli aspetti più affascinanti, con le sue lettere sottili e delicate, ma anche rigorose e precise. Frequento l'università Ca Foscari di Venezia, il mio sogno fin da quando ho iniziato ad interessarmi al kpop. Il mio progetto è quello di laurearmi ottenendo i risultati migliori possibili, per poi continuare i miei studi in qualche università coreana, specializzandomi nell'ambito economico commerciale.


Ho davanti una lunga strada, tortuosa e difficile, ma nei momenti di sconforto mi basta dare un’occhiata alla foto di Seoul che porto nella cover del mio telefono, e ritrovo tutte le energie per essere la versione migliore di me stessa e realizzare il mio sogno. Non so se la strada che ho imboccato sarà quella corretta, e non so nemmeno se mi porterà dove davvero voglio arrivare, ma l'unica cosa che posso affermare con certezza, è che la Corea occuperà sempre un posto nel mio cuore che non sarà di nessun altro.


Grazie Corea, per tutto quello che mi hai regalato e che mi riserverai nel futuro. E grazie fato, per avermi permesso di incontrare il paese dei miei sogni. “Amor fati”



Terza classificata categoria italiano : Grazia Teresella Berva


“Io e la Corea”

La mia Corea ha il sapore dolce dell’hotteok che per quasi quattro anni ho mangiato con una fedeltà quasi religiosa al mercato di Daegu. Stessa bancarella, stessa fila silenziosa e ordinata in attesa di quella deliziosa frittella ripiena di zucchero e semi che non sono mai riuscita a replicare da sola. Quasi quattro anni, già, perché questo è il tempo che ho passato nel paese che oggi considero la mia seconda casa.


Non era stata una mia scelta andare in Corea, mi ci aveva quasi trascinata quello che poi è diventato mio marito. Ne avevo fatti di pianti prima di decidermi a partire… Fino a quel momento per me era solo il paese un po’ misterioso e sfuggente che avevo amato nei film di Kim Ki-duk e Park Chan-wook. Praticamente era come una lunga sequenza di immagini cinematografiche, sospese tra la sublime leggerezza di “Ferro 3” e la spietatezza di “Lady Vendetta”.



Quando sono arrivata a Daegu, nel 2011, non esistevano nemmeno le guide turistiche in italiano dedicate alla Corea. Nessuno della mia famiglia aveva capito bene dove stessi andando: in Cina? In Giappone? E ora eccola qui la mia Corea adorata che è diventata un superstar mondiale: tutti la vogliono, tutti la cercano. La cosa divertente è che quando qualcuno ne parla provo quasi un senso di orgoglio, come se fosse davvero il mio paese.


La prima cosa che ho voluto vedere in Corea, spinta dalla mia passione cinefila, non era certamente in cima alla lista delle principali destinazioni da visitare. Eppure io me n’ero innamorata perdutamente, prima ancora di andarci: era il laghetto sospeso nel tempo del film “Primavera, estate, autunno, inverno… e ancora primavera”.


Il piccolo lago Jusanji si trova in un parco naturale della regione Gyeongsangbuk-do. Per arrivarci avevamo preso tre autobus, seguendo un percorso immerso nella profonda campagna coreana, perdendoci più d’una volta. Era l’inizio dell’autunno e pioveva a dirotto. In giro c’era solo qualche ajumma con la testa china sulla strada e una sacchetto pieno di verdure. Di tanto in tanto incrociavamo pensiline a forma di mela, che avevo poi scoperto essere un buffo omaggio alle varietà di mele prodotte nella zona.


Arrivati a Jusanji, dopo più di tre ore di viaggio, ci aveva accolto un silenzio irreale. La superficie del lago, increspata dalla pioggerellina, mi raccontava una storia che già avevo imparato a conoscere anni prima attraverso il film di Kim Ki-duk. Ricordo di aver trovato una rana minuscola e di averla tenuta sul palmo della mano per diversi minuti, provando una gioia quasi infantile. Da quel momento non ho più smesso di scoprire le storie che la Corea voleva raccontarmi.




Dal mio appartamento al decimo piano del Dongsin Apt. di Hayang si vedeva il tipico paesaggio collinare coreano, punteggiato di palazzoni alti (come quello in cui abitavo io) e case tradizionali con il tetto blu. Sono sempre stata una ragazza di provincia, e lo sono stata anche in Corea. Ho camminato in lungo e in largo nella zona in cui abitavo: quando non hai un’auto a portarti in giro, sono i tuoi piedi a dettare il ritmo.


Seguendo il piccolo torrente, si arrivava a uno sperduto ristorante tradizionale specializzato in piatti a base d’anatra. Io, che da vegetariana non ho avuto vita facile in Corea, lì ho sempre chiesto il jijimi. Ecco, la mia Corea ha anche quel sapore. Proseguendo lungo la stradina di ciottoli per circa un’ora, si arrivava a un tempio buddista immerso nel verde. Di templi ne ho visitati tanti (anzi tantissimi), e in tutto il paese, ma di quello serbo un ricordo luminoso e distinto.


Proprio lì vicino, passeggiando tra i prati, mi ero ritrovata vicino a passare vicino a una casa nel vecchio stile architettonico coreano. Vedendomi passare, così palesemente straniera, mi era stata offerta una tazza di una bevanda fatta con qualcosa che assomigliava a una radice. In quel gesto così semplice ho ritrovato un filo che mi ha accompagnato per tutta la mia vita in Corea: la gentilezza.


Ho visitato quasi tutto, dalla labirintica Seoul all’esotica Jeju, passando per le piantagioni di tè di Boseong, i dolmen di Hwasun, il villaggio di Andong e persino Cheongdo con i suoi tori. Dappertutto mi ha seguito sempre la gentilezza. Non è semplice infrangere il muro di atavica timidezza dei coreani, ma quando fai breccia nel loro cuore ti senti parte della loro famiglia.




Così la mia Corea non ha solo il sapore dell’hotteok, del jijimi e di quella bevanda strana offerta da una coppia di estranei, ma anche quello di tutti i pranzi e le cene condivisi con le persone che ho conosciuto nei miei quattro anni e che mi hanno invitata alla loro tavola. Ha persino il sapore dello yogurt alla banana che le ajumma mi offrivano durante le mie lunghe mattinate nella sauna femminile, dove me ne stavo nuda tra le nude a guardare programmi coreani di cui non capivo una parola.


La mia Corea è anche quella cosa che mentre scrivo mi fa provare una stretta allo stomaco. Tante volte ho pensato che mi mancava la mia casa, mentre ero là, senza accorgermi che quella stava diventando la mia casa. E oggi che ripenso a quei giorni, alla mia casa al decimo piano di Hayang, sento una malinconia che non so spiegarmi. Ripenso al sapore di quell’hotteok e dentro di me sento che è arrivato il momento di tornare a trovare la mia Corea.



Vincitori categoria coreano


Prima classificata categoria coreano : Elena Rebecca D'Argenio

Seconda classificata categoria coreano : Viola Freddi

Terza classificata categoria coreano : Chiara Gadda


Potete vedere l'operato dei vincitori della categoria coreano nella versione in lingua coreana della homepage

File allegato