Effetto K-Drama
Effetto K-Drama
Dalle prime ondate della Hallyu al fenomeno internazionale di Squid Game, ripercorriamo insieme le origini delle serie tv sudcoreane per scoprire quel “K-factor” che le ha rese così popolari in tutto il mondo
di Alessia Belli
C’è stato un momento in cui erano tutti, ma proprio tutti, pazzi per i dalgona, i tipici biscottini di zucchero molto amati dai bambini coreani e diventati famosi in tutto il mondo grazie al successo planetario di “Squid Game”, una miniserie distopica in lingua originale, incentrata su una serie di inquietanti giochi al massacro, prodotta in Corea e trasmessa su Netflix lo scorso autunno. Nessuno si sarebbe mai aspettato il risultato ottenuto: ben 111 milioni di spettatori in un mese [1], un fenomeno mondiale che ha battuto ogni record puntando i riflettori sulle potenzialità e l’infinito universo delle serie tv coreane.
Ma cos’è che rende così speciali i K-drama, capaci di tenere gli occhi degli spettatori incollati allo schermo? Sicuramente uno sguardo sul mondo e sulle relazioni umane che da sempre caratterizza le serie televisive e le opere cinematografiche made in Korea. «I drammi coreani vantano colpi di scena drammatici che portano il pubblico su un ottovolante di emozioni», ha raccontato al Korea Times Yun Suk-jin, critico teatrale e professore di lingua e letteratura coreana alla Chungnam National University [2]. Un vero e proprio “K-factor”, allora, che ha affascinato e continua ad affascinare un numero sempre più vasto di appassionati, emozionando sin dagli esordi.
Le prime serie coreane furono prodotte e messe in onda negli anni Sessanta, diventando rapidamente un appuntamento fisso nei palinsesti televisivi coreani e riscuotendo negli anni Novanta anche un discreto successo tra il pubblico cinese. È solo con l’inizio del nuovo millennio, però, che si raggiunge anche una grande popolarità in Occidente, grazie a titoli come “Winter Sonata”, una saga romantica trasmessa nel 2002 e, in particolare, “Dae Jang-Geum” (대장금). Quest’ultimo, in onda tra il 2003 e il 2004, fu venduto a ben 91 paesi stranieri portando all’attenzione internazionale la storia della prima donna coreana a esser nominata medico di corte durante la dinastia Joseon. Per la prima volta, gli usi e i costumi di un’epoca e di una terra lontane entravano ufficialmente nelle case di tutto il mondo, ravvivando la korean wave ed estendendone i confini anche oltre la Cina.
Dopo l’Asia, infatti, furono le sponde dell’America Latina e degli Stati Uniti a essere raggiunte dalla Hallyu, l’onda coreana, grazie alla diffusione di rom-com come “Boys over flower” (2009) - trasposizione del manga Hanayori dango - o “Secret Garden” (2010) - serie diventate oggi cult del genere e che lanciarono anche la carriera di attori del calibro di Lee Min Ho e Hyun Bin. L’assenza dei doppiaggi, sostituiti dai sottotitoli, non rovinò l’incantesimo e le storie riuscirono comunque a conquistare l’audience ormai globale e definendone sempre più il format: una sola stagione di 16 episodi (a parte rare eccezioni), uno storytelling ricco di plot-twist e cliffhanger che incrementa vertiginosamente l’attesa per gli episodi successivi, una fotografia di altissima qualità e colonne sonore interpretate dalle icone del kpop contemporaneo. È così che iniziano a diffondersi anche i primi blog, gruppi, siti e pagine interamente dedicati al fenomeno dei kdrama che raccolgono fan da ogni parte del mondo: in rete si cominciano a condividere recensioni e riflessioni che trasformano titoli come “Descendants of the Sun” del 2016, “Guardian: The Lonely and Great God” del 2017 – più conosciuto come “Goblin” – e, tra i più recenti, anche “Crash Landing on you” e “Itaewon Class”, in veri e propri fenomeni culturali di massa.
Oggi i K-drama hanno acquisito sempre maggiore autorevolezza, diventando un prodotto non solo destinato a una nicchia, ma un asset su cui puntare. Commedie romantiche, racconti di vita quotidiana, triangoli amorosi, ma anche thriller, horror – avete mai sentito parlare dei K-zombie? - storie di riscatto e crescita personale, ispirate dalle mille sfumature della contemporaneità o del passato, arricchite spesso da elementi fantasy, folkloristici, distopici e di fantascienza, convincono persino le piattaforme di streaming. A partire da Netflix, anche altri colossi dell’entertainment hanno ormai iniziato a trasmettere e persino produrre contenuti originali, come “Snowdrop” (Disney+) e l’attesissimo “Pachinko” (AppleTV) ispirato al libro omonimo dell’autrice Min Jin Lee.
Ce n’è davvero per tutti i gusti, perché le serie tv coreane sono una ‘ricetta’ di successo che tocca ogni lato della cultura pop coreana, dal k-pop al k-beauty. È questo l’effetto K-drama: una finestra sul paese del calmo mattino, con la sua quotidianità, il suo stile di vita, i trend del momento, la sua storia e la sua cucina, per sognare e vivere la Corea anche a chilometri di distanza.
Note:
[1] “Quello di Squid Game è il più grande debutto di una serie Netflix: 111 milioni di spettatori in un mese” - https://forbes.it/2021/10/13/squid-game-serie-netflix-piu-vista-di-sempre/
[2] “Remake boom of K-dramas is a testament to their brilliant storytelling” By Kwak Yeon-soo - http://www.koreatimes.co.kr/www/art/2021/06/398_309849.html
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