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KOREAN CULTURAL CENTER

La lingua: Il vaso che contiene lo spirito di un popolo

21 October 2020 | 927 Hit

La lingua: Il vaso che contiene lo spirito di un popolo


Cosa fareste se vi venisse proibito di parlare nella vostra lingua madre?
Negli anni bui dell’occupazione coloniale giapponese, quando persino la lingua coreana venne bandita, la stesura di un dizionario si trasformò in un coraggioso atto di resistenza ed amore per la patria.


di Sara Bochicchio


Da linguista e studiosa della storia coreana, per me è stata una grande gioia vedere “Mal-mo-e: The Secret Mission”, della regista EomYu-na vincere il premio del pubblico online della 18esima edizione del Florance Korea Film Fest.


Forse nessuno meglio dei registi coreani è stato in grado di raccontare quell’impero giapponese che, dalla restaurazione Meiji fino alla fine della Seconda Guerra Mondiale, affrontò la paura di essere dominato dalle potenze occidentali trasformandosi a sua volta in una potenza coloniale.  La Corea fu la prima nazione a cadere nelle mani nipponiche, che nel 1910 fu ufficialmente annessa all’impero, e ritrovò la sua indipendenza solo alla fine della Seconda Guerra Mondiale. L’era coloniale rappresenta ancora un trauma collettivo per il popolo coreano, a prova di ciò l’abbondante produzione cinematografica che ne racconta la storia, alla quale appartiene lo stesso Mal-mo-e.


Vero protagonista di Mal-mo-e è 조선말큰사전, “Il grande dizionario della lingua di Joseon (nome della Corea prima dell’occupazione giapponese)”, e quella che voglio raccontarvi è la vera storia che si cela dietro tale opera.


Tutto ebbe inizio con Ju Si-gyeong (1876 - 1914), fondatore della moderna linguistica coreana. Egli aveva previsto che il Giappone, per realizzare le sue mire espansionistiche, avrebbe presto cercato di annichilire le basi stesse dell’identità coreana, partendo dalla distruzione della sua cultura. A tal fine, sosteneva, i giapponesi avrebbero privato i coreani della loro lingua e della loro scrittura, per imporre quella nipponica, trasformandoli così in ubbidienti servi dell’imperatore. Da qui l’importanza vitale della preservazione della lingua come forma di resistenza. Nel 1911 diede il via ai lavori di composizione di un dizionario della lingua coreana, con il quale ebbe anche inizio un processo di standardizzazione del vocabolario e della scrittura. Purtroppo Ju Si-gyeong morì solo 3 anni dopo ed il progetto venne sospeso. Ma nel 1929, 108 membri della 조선어학회 “Associazione per lo studio della lingua di Joseon” si riunirono per riprendere i lavori. Una prima fase vide la presentazione, nel 1933, di 한글맞춤법통일안 “Bozza per un sistema di scrittura unificato”, in cui vennero stabilite le regole ortografiche. La seconda fase, quella della standardizzazione del vocabolario, durò tre anni e vide il susseguirsi di 125 incontri di discussione per stabilire, tra le diverse varietà regionali, le forme standard per ciascuna parola. Furono stabiliti ben 6111 vocaboli. La terza fase fu quella più incredibile: agli studiosi non bastava catalogare la lingua coreana per crearne una forma standard da salvare, loro ritennero necessario il salvataggio di tutti i dialetti parlati sulla penisola, perché anch’essi parte fondamentale e imprescindibile dell’identità del suo popolo. Per fare ciò si servirono della rivista Hangul. Nell’ottobre 1935 venne chiesto ai lettori di dare il loro contributo in prima persona, scrivendo ed inviando per posta le varianti dialettali di ciascuna regione.


Intanto l’impero giapponese, raggiunto il suo apice, nel 1938 vietò l’utilizzo della lingua coreana per l’insegnamento nelle scuole, divieto al quale seguì, nel 1943, l’eliminazione della materia della lingua coreana dai curricula scolastici.


Nel 1942 l’impero accusò l’Associazione per lo studio della lingua di Joseon di essere parte del movimento di indipendenza. I membri dell’associazione vennero arrestati, alcuni di loro morirono in carcere ed altri rividero la libertà solo con la Liberazione.


Come descritto nel film, l’8 settembre 1945 venne ritrovato il manoscritto del dizionario ed i lavori poterono finalmente riprendere. Il 9 ottobre 1947 ne venne finalmente pubblicato il primo volume.


Il protagonista del film, Kim Pan-soo (interpretato dall’eccezionale YooHae-jin), inizialmente non comprende perché tanto fervore per una tale missione. Come lui, anche lo spettatore più ingenuo, o semplicemente colui che non si è mai appassionato alle culture altre e alle lingue straniere, si sarà chiesto perché dare la propria vita per salvare delle parole?


C’è una teoria linguistica estremamente affascinante, detta “ipotesi Sapir-Whorf”, dagli studiosi che l’hanno formulata, la quale afferma, in sintesi, che il linguaggio non è solo uno strumento di comunicazione: la lingua è così strettamente interconnessa alla cultura alla quale appartiene che a linguaggi diversi corrispondono diversi modi di interpretare e vedere la realtà ed il mondo che ci circonda. Vi è una citazione del film, di seguito riportata, che secondo me ben spiega l’indissolubile legame tra cultura e lingua:


“말과글이라는게민족의
정신을담는그릇인데,
우리나라우리딸
우리가족그러잖아요.
그런데서양에서는
우리나라대신에나의나라
나의딸나의가족그러거든요.
그게다우리를소중하게여기는
그공동체정신이말에
고스란히담겨져있는거거든요.”


Le parole e la scrittura sono come un vaso che contiene lo spirito del nostro popolo. Noi diciamo “la nostra nazione”, “nostra figlia”, “la nostra famiglia”. Invece, in Occidente, dicono “la mia nazione”, “mia figlia”, “la mia famiglia”. È il nostro spirito di comunità che si manifesta nelle parole, mostrando quanto siamo importanti l’uno per l’altro.


I coreani non dicono mai “casa mia”, sarà sempre “casa nostra”, perché è la casa nella quale vivono con i loro cari, e quando hanno un ospite, questa persona, coinvolta nell’intimità familiare, ne diventa in qualche modo parte. “La nostra Eun-ji” dice spesso un mio amico parlando della figlia, e quel “nostro” ha sempre un valore inclusivo. È anche un po’ mia la cara Eun-ji, perché altrimenti non parleremmo di lei, perché ormai ci conosciamo e tra noi esiste quel legame affettivo che i coreani chiamano jeong정 e che in caratteri cinesi si scrive 情, lo stesso carattere inciso sulle confezioni dei famosi tortini al cioccolato, perché condividere il cibo è un modo per mostrare questo attaccamento, la premura che si prova verso il prossimo e quel calore che avvolge il cuore nel prendersi cura l’uno per l’altro.


Gli sforzi dei coreani per preservare la loro cultura ed identità nazionale continuano ancora oggi, e questa volta sono volti a favorire la comunicazione e le relazioni tra le due Coree. A seguito di 70 anni di divisione, si sono create enormi differenze linguistiche, in particolare per quanto riguarda gli anglicismi che abbondano nel sud, ma sono assenti nel nord. Nel 1989, a seguito della proposta del pastore ed attivista politico Moon Ik-hwan durante una sua visita a Pyeongyang, Kim Il-sung approvò l’idea di realizzare il 통일국어대사전 “Dizionario della lingua unificata”. Durante il 16esimo vertice inter-coreano tenutosi nel settembre 2005, le due parti si sono impegnate a portare avanti il progetto di compilazione di 겨레말큰사전, che potremmo tradurre come “il grande dizionario della lingua del popolo coreano”.  Ma a causa delle tese relazioni tra le due nazioni, il progetto prosegue a rilento e con una non ben definita data di pubblicazione. Il completamento di quest’opera sarebbe un importante passo avanti, considerando quanto potrebbe aiutare nella reciproca comprensione, verso un altro grande traguardo: la riunificazione di una delle nazioni più antiche al mondo. Fondata, secondo il mito, nel 2333 a.C., la penisola fu unificata dal regno di Silla nel 660 e da allora, nonostante il cambio di altre due dinastie (Goryeo 918, e Joseon 1392), ha costituito una unità culturale e politica per secoli.


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