La cucina coreana dei templi buddisti
La cucina coreana dei templi buddisti
Cibo come meditazione
di Vincenzo Acampora
Il documentario Chef’s table su Netflix del 2017 ha fatto conoscere al grande pubblico la monaca Ven. Jeon Kwan, maestra della cucina coreana buddista. Questa serie, grazie al suo grande successo, ha portato grande visibilità alla cucina coreana dei templi buddisti, una cucina antica, legata alla spiritualità e al rispetto della natura.
Già nel 2010 si era parlato in Italia della cucina coreana buddhista, grazie al movimento Slow Food nato nel nostro paese, attraverso i primi eventi legati a questo tipo di cucina tenuti a Torino e Milano.
Questa cucina (한국사찰음식 in coreano) ha una tradizione antichissima, e la sua storia si intreccia con quella della dottrina buddista, giunta nella penisola coreana nel IV secolo d.C, durante il periodo dei Tre Regni (57 a.C - 668 d.C.) e sviluppatasi proprio all’interno dei templi buddisti.
I principi di questa cucina si fondano sia sulla dottrina buddista, che su quelli della medicina tradizionale coreana. Secondo i precetti del buddismo, infatti, non si utilizzano ingredienti di origine animale, e si rispettano la stagionalità degli ingredienti. Altro aspetto importante è quello dell’autoproduzione - la maggior parte dei templi buddisti in Corea è il più possibile autosufficiente e i sono i monaci a coltivare i campi e preparare le salse fermentate, fondamentali nella cucina coreana. La cucina dei templi buddisti si fonda anche sui principi della medicina tradizionale coreana, un elemento che ritroviamo nella cucina coreana in genere, ma che trova la sua massima espressione nella cultura culinaria di questa religione. L’avere una alimentazione bilanciata, in armonia tra i diversi elementi, è fondamentale per la salute e per la pratica religiosa. Si utilizzano anche numerose erbe medicinali che hanno dimostrato effetto terapeutico (Naenghi - borsa del pastore per la dissenteria, Ssuk - artemisia per le proprietà anti infiammatorie e così via). Ci sono però degli ingredienti proibiti: cinque osingchae, cioè aglio, cipolla, erba cipollina, porro e cipollotto (piante genere Allium), poiché a causa del loro odore pungente possono distrarre dalla pratica meditativa.
Il Baru Gongyang è la cerimonia del pasto nei templi buddisti coreani - Baru indica le ciotole dove vengono risposte le pietanze e Gongyang è un termine di origine buddista che si riferisce al “trattare l’altro con rispetto”. Il pasto è centrale nella vita monastica dei templi buddisti e questa cerimonia è un vero momento di consumo consapevole e una via meditativa. La cerimonia, che segue un rituale ben preciso, fondato sui valori buddisti di uguaglianza, comunità, purezza, umiltà e azioni virtuose, vede i monaci di ogni grado ed età mangiare tutti insieme lo stesso cibo, preparato nelle cucine del tempio, prendendo solo la giusta quantità di cibo dalle ciotole comuni e minimizzando quindi gli sprechi. Durante il pasto, i monaci riflettono sull’origine del cibo e sulla riconoscenza verso la natura e per le persone che hanno preparato e servito il cibo.
Seppur può sembrare a prima vista una cucina molto semplice, in realtà ogni pasto deve essere pensato e bilanciato per dare il giusto apporto nutrizionale ed energetico ai monaci per le loro attività all’interno del tempio. L’apporto proteico, per esempio, che può essere carente a causa dell’assenza di alimenti di origine animale, viene fornito da legumi, tofu, radici e verdure. Preparare un pasto sano e bilanciato quindi richiede molto studio e conoscenza degli ingredienti, dell’interazione tra di essi e della disponibilità a seconda delle stagioni.
La cucina coreana dei templi buddisti, seppur antichissima, si rivela in realtà molto attuale nella sua attenzione alla sostenibilità, alla stagionalità e alla riduzione degli sprechi alimentari. Argomenti attorno ai quali si sta sviluppando una nuova coscienza nell’industria alimentare e che saranno centrali per gli anni a venire.
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